Vai al contenuto

SIAMO TUTTI COMPLOTTISTI? (estratto)

SIAMO TUTTI COMPLOTTISTI? è in tutte le librerie e negli store online

Link su Amazon: Amazon.it: Siamo tutti complottisti? – Sacco, Danilo, Pavon, Manuela, Corradino, Dario – Libri

 

SOMMARIO   (a lato, a pagina numero)

PARTE PRIMA
Inconsapevoli inganni   pag. 7
1. Districarsi nell’iperinformazione 9
2. Scorciatoie inconsce della mente 11
3. Il marketing emozionale 16
4. Chi abusa della nostra vulnerabilità? 18
4.1. La propaganda politica 19
4.2. I media tradizionali 23
4.3. Internet e i social network 26
4.3.1. “Se il servizio è gratis, il prodotto sei tu” 28
4.3.2. L’illusione di scegliere 31
4.3.3. L’algoritmo che inganna 32
4.3.4. Personaggi in cerca di clic 35
4.3.5. Pagine social e account anonimi 38
5. L’influenza delle relazioni 42
6. Fallacie logiche, dissonanza cognitiva e bias di conferma 44
7. Essere un giocatore e non un giocato 46

PARTE SECONDA
Teorie del complotto: come nascono, come si propagano, perché seducono 47
1. Alla radice delle cospirazioni 48
2. I furbetti del complotto 52
3. Questione di fiducia 59
4. Come si diventa complottisti 64
5. Quanti sono i complottisti? 70
6. Se la verità non viene a galla 75
7. Le teorie del complotto sono pericolose? 78

PARTE TERZA
Terre piatte, Lune inesplorate e altre improbabili cospirazioni 81
1. UFO, alieni e rettiliani 82
2. La Terra piatta 97
3. Gli attentati dell’11 settembre 2001 107
4. Le scie chimiche 118
5. Case farmaceutiche: verità e preconcetti 124
5.1. La disputa dei vaccini 130
5.2. HIV, un’invenzione? 136
5.3. Le cure contro il cancro 139
6. QAnon, il patriota Q 144
7. Lo sbarco sulla Luna 154
8. COVID-19 complotti e negazioni 171

APPENDICE
Psicogenesi del conflitto – Contributo scientifico di Manuela Pavon* 197
Conspiracy – Contributo storico di Dario Corradino* 225

* bio in calce all’estratto

 

PARTE PRIMA
Inconsapevoli inganni

                                                                                        

Se non si conoscono le regole
non si è mai un giocatore, ma un giocato

I complotti esistono?
Certo.
Ordire trame per creare posizioni di predominio accompagna l’esistenza dell’uomo sin dall’antichità.
Innumerevoli accadimenti non sono mai stati chiariti del tutto a dispetto degli sforzi profusi in ricerche o indagini: quali intrighi li hanno resi imperscrutabili?

La Storia, però, è altresì intrisa di una moltitudine di teorie del complotto che si sono rivelate prive di ogni fondamento, di tesi affascinanti quanto poco plausibili intorno a vicende e dati di fatto accertati e documentati in modo esaustivo.

Perché anche persone mature, colte e intelligenti credono che alcuni abitanti del pianeta siano in realtà alieni, che la Terra sia piatta, oppure sono ammaliate da tesi antiscientifiche?

Vi sono istituzioni e singoli individui che hanno interessi di vario genere a diffondere teorie complottiste?

Sì. Non solo: sanno come far leva su insospettabili increspature del nostro processo cognitivo per cercare di condizionarci.

Dunque, potenzialmente siamo tutti complottisti?
Sì.

Per minimizzare il rischio di essere vittime inconsapevoli degli inganni che ci conducono a false credenze, è importante avere cognizione dei meccanismi che governano il nostro processo decisionale e i trucchi utilizzati per persuaderci. Ed è anche opportuno conoscere i rudimenti del marketing emozionale.

Perché, in qualsiasi campo, per gareggiare è fondamentale conoscere le regole del gioco.

Se sappiamo individuare chi usa le proprie abilità per influenzare il prossimo, abbiamo meno probabilità di farci suggestionare.

 

1. DISTRICARSI
NELL’IPERINFORMAZIONE

Quali sono i processi cognitivi che orientano le nostre scelte?
Come arriviamo a formarci un punto di vista?
Quanto riusciamo a non farci influenzare dalla realtà che ci circonda?

Viviamo nell’era dell’iperinformazione, ne siamo bersaglio senza soluzione di continuità. La nostra vita professionale e quella sociale portano inevitabilmente a contatto con un’enorme mole di notizie, dati e contenuti di ogni tipo, rispetto ai quali è assai difficile essere sordi o ciechi.

Sia chiaro: le informazioni sono vettori della conoscenza e la pluralità delle fonti è la migliore garanzia di trasparenza. Va, quindi, benedetto il progresso che ha consentito all’umanità di poter fruire di una gamma sempre più ampia di mezzi, fonti e strumenti ai quali attingere e dai quali apprendere.

Nel secolo scorso la radio e, successivamente, la televisione hanno fatto gradualmente ingresso nelle nostre case. In ordine sparso, sono evolute in una vastità di canali radiofonici e televisivi in (quasi) tutti i Paesi del pianeta. Ben prima, la scolarizzazione aveva accelerato la crescita nella diffusione di giornali e riviste. Il millennio si è chiuso con l’avvento di internet e il nuovo ha presto visto nascere i social network. Una svolta epocale nell’approccio delle persone al mondo esterno, che ha moltiplicato le occasioni di contatto e di confronto e generato un repentino balzo quantitativo delle sollecitazioni alle quali siamo sottoposti.

Un rapporto stilato da Digital Dictionary nel gennaio del 2020 indicava che in Italia erano quasi 50 milioni gli account attivi e che il tempo mediamente trascorso online era di 6 ore al giorno, di cui 117 minuti sui social[1].

Al netto di condotte estreme, che rivelano una vera e propria dipendenza, è tuttavia innegabile l’aumento esponenziale degli stimoli ai quali le persone sono state progressivamente sottoposte di pari passo con il moltiplicarsi degli strumenti di comunicazione. In generale, si è ampliato il divario tra la circolazione di informazioni e la capienza della mente umana per gestirle.

Perché ogni notizia, ogni dato, ogni contenuto audiovisivo nei quali ci imbattiamo sono forieri di un impulso che determina, anche inconsapevolmente, una valutazione, una scelta.

Che la scelta riguardi un prodotto oppure un punto di vista, poco cambia.

 

2. SCORCIATOIE INCONSCE DELLA MENTE

Come si sviluppa il percorso mentale che determina ogni nostra singola scelta?

La svolta decisiva nel comprenderlo l’ha fornita Daniel Kahneman, scienziato israeliano precursore nello studio della psicologia delle decisioni e insignito nel 2002, insieme a Vernon Smith, del Premio Nobel per gli studi di psicologia cognitiva applicata alla comprensione delle decisioni economiche.

Thinking, fast e slow[2] è il libro attraverso il quale nel 2011 Kahneman ha aggiornato e divulgato le sue conoscenze riguardo a cosa accade al cervello umano nel momento in cui si appresta a fare una scelta.

La mente umana, insegna Kahneman, dispone di due distinti canali decisionali: uno veloce e uno lento.

Il Pensiero Veloce (Sistema 1) si attiva automaticamente in modo inconscio, procede per associazione di idee e giunge in tempi rapidi a conclusioni definitive.

Il Pensiero Lento (Sistema 2) richiede invece un dispendio di energie e di concentrazione, giacché è deputato a svolgere attività impegnative: ragionamenti articolati e calcoli complessi.

Per garantirci di prendere una buona decisione, fare una scelta ben ponderata, esprimere un giudizio equilibrato, maturare un convincimento oggettivo, i due Sistemi devono agire in modo coerente l’uno con l’altro. Ma questo in realtà accade di rado, per la rapidità con la quale il Pensiero Veloce è in grado di sancire e trasmetterci la sua decisone definitiva. Di fatto, il Pensiero Lento viene mobilitato solo quando il Pensiero Veloce non offre una risposta automatica.

Con i suoi studi, Kahneman ha dimostrato che i processi decisionali umani violano sistematicamente alcuni principi di razionalità e che le nostre scelte quotidiane sono quasi sempre frutto degli automatismi impulsivi e inconsci avviati dal Pensiero Veloce.

Perché?

Innanzi tutto perché il Pensiero Veloce si attiva indipendentemente dalla nostra volontà e non si può disinnescare a piacimento: per conseguenza, gli errori che commette sono difficili da contrastare. Inoltre, ha il rilevante vantaggio di non far produrre al cervello alcuno sforzo supplementare per sviluppare un ragionamento che indirizza una decisione, un convincimento, un giudizio, una scelta. A ciò va aggiunto che, per economizzare il proprio sforzo, il cervello umano innesca inconsapevolmente e in automatico delle scorciatoie, processi mentali intuitivi e sbrigativi che conducono a conclusioni rapide con il minimo impegno: le euristiche.

Il primo scienziato a individuare queste distorsioni del processo cognitivo umano e le conseguenze sui comportamenti decisionali delle persone fu Herbert Simon, insignito per questa e altre scoperte di svariate onorificenze, tra le quali il Premio Nobel per l’economia nel 1978.

Già in quegli anni Kahneman aveva iniziato a studiare la medesima tematica insieme al collega Amos Tversky, lasciando traccia in svariati articoli pubblicati da riviste scientifiche. La loro ricerca era maggiormente orientata sul versante economico, nello specifico tesa a dimostrare che le nuove conoscenze sul funzionamento dei processi cognitivi umani potessero determinare una svolta nella gestione delle attività di marketing. Come sovente avviene, il risultato degli studi andò oltre il perimetro prefissato.

Kahneman, insieme a Shane Frederick, giunse a dimostrare che le distorsioni del processo cognitivo umano intuite da Simon avvengono in modo inconscio. In parole semplici, messo di fronte a un concetto complesso, il cervello umano tende inconsapevolmente ad approcciarlo e riformularlo in modo semplicistico. Ciò avviene per l’appunto attraverso le euristiche, escamotage mentali che portano a conclusioni veloci con il minimo sforzo cognitivo.

Il nostro cervello fa largo ricorso alle euristiche per districarsi nelle variabili che si presentano nel quotidiano. La soluzione di imprevisti, piccoli problemi o rompicapi nei quali ci imbattiamo sul lavoro, nel traffico e nelle altre comuni situazioni della vita di tutti i giorni ci è suggerita da quello che noi chiamiamo intuito e che le neuroscienze definiscono euristiche.

Le euristiche ci sono di fondamentale aiuto, perché risparmiano al nostro cervello lo stress di faticose ponderazioni. A renderle infide e disfunzionali non è la loro presenza, quanto il fatto che si inneschino in modo automatico e inconsapevole. E siccome dettano risposte immediate, impediscono l’attivazione del nostro Pensiero Lento: pertanto, sono spesso causa di errori.

Due tra le euristiche più abituali e ingannevoli sono quella “della disponibilità” e quella “dell’ancoraggio”.

L’euristica “della disponibilità” orienta il nostro processo decisionale attingendo al serbatoio della memoria. I nostri ricordi, però, non sono neutrali, perché tendiamo a memorizzare meglio gli eventi che ci hanno suscitato maggiori emozioni. L’euristica “della disponibilità” ci conduce quindi a maturare decisioni, scelte, giudizi e convincimenti inficiati dalla mancanza di oggettività.

L’euristica “dell’ancoraggio” attinge, invece, a elementi soggettivi, in particolare alle nozioni di cui siamo in possesso. Sennonché, al di fuori del proprio e stretto ambito professionale o di studio, nessuno dispone di sufficienti cognizioni per valutare correttamente un’informazione. Finiamo così per essere orientati a prendere una decisione, fare una scelta, maturare un giudizio o un convincimento sulla base dei pochi elementi in cui ci siamo casualmente imbattuti.

I meccanismi che ci consentono di far fronte rapidamente e senza sforzo a una questione banale si innescano in modo automatico anche al cospetto di tutte le innumerevoli variabili che si affacciano nel nostro quotidiano, inducendoci inevitabilmente a maturare non solo decisioni e scelte, ma anche giudizi e convincimenti in modo affrettato e, per conseguenza, sulla scorta dei primi elementi che abbiamo a disposizione e per giunta privi di riscontro oggettivo.

Si tratta di un processo inconscio, del quale siamo inconsapevoli. Le conseguenze si sostanziano in errori sistematici che tendiamo a commettere. La dottrina neuro scientifica li definisce bias cognitivi: giudizi o convincimenti che non sono fondati sulla riflessione, ma su percezioni errate o deformate della realtà[3].

Daniel Kahneman li definisce “preconcetti che ricorrono in maniera prevedibile in particolari circostanze”, come se un’entità fuori dal nostro controllo scegliesse automaticamente per noi.

Questo non significa che le nostre decisioni, le nostre scelte, i nostri convincimenti siano sempre frutto di irrazionalità. Talvolta il Pensiero Lento interviene a correggere le determinazioni ingannevoli del Pensiero Veloce, altre volte stimoli esterni conducono ad approfondire o a riflettere sulle decisioni da assumere, oppure a ripensare alle scelte fatte, oppure ancora a rivedere giudizi e convincimenti maturati frettolosamente. Ma ciò avviene di rado, perché al nostro cervello mobilitare il Pensiero Lento costa fatica e va ricordato che l’essere umano antropologicamente è predisposto per evitarla o per ricondurla allo stretto necessario.

Pertanto, se è vero che talvolta ci imponiamo di fare lo sforzo di attivare il Pensiero Lento per analizzare una scelta di vita fondamentale, oppure un acquisto particolarmente costoso, non siamo altrettanto predisposti a farlo per le scelte ordinarie della nostra quotidianità, siano esse l’acquisto di un prodotto al supermercato o la messa in discussione di un nostro convincimento.

 

3. IL MARKETING EMOZIONALE

Le scoperte rivoluzionarie sul comportamento della mente umana fatte da Herbert Simon, perfezionate da Daniel Kahneman e approfondite da altri studiosi delle scienze cognitive hanno sortito un forte impatto innovativo sulle strategie di marketing.  (segue…)

Oggi i pubblicitari sanno che le scelte delle persone sono determinate dal Pensiero Veloce e dalle scorciatoie attivate dalle euristiche. E che per conquistare il consumatore occorre quindi far leva sulle suggestioni e sulle emozioni, aree nelle quali il Pensiero Lento, ovvero il nostro raziocinio, non si attiva e, per conseguenza, non andrà a confutare le decisioni assunte rapidamente e con inconsapevole automatismo dal Pensiero Veloce.

Prima delle scoperte perfezionate da Kahneman era dato per assodato che le scelte dei consumatori fossero (segue)

 

4. CHI ABUSA DELLA NOSTRA VULNERABILITÀ?

Perché è importante conoscere i meccanismi che sono alla base del nostro processo decisionale e aver nozione dell’esistenza del marketing emozionale?

Per aver cognizione che, ci piaccia o no – e vale per tutti – siamo inconsapevolmente esposti alle incrinature del nostro processo cognitivo e, per conseguenza, vulnerabili al cospetto di chi ha acquisito conoscenze e abilità per approfittarne e dispone degli strumenti per insinuarsi.

E poiché ora sappiamo che il nostro cervello è pigro e attiva automaticamente a nostra insaputa delle scorciatoie per giungere in fretta e senza fatica a determinare qualsiasi decisione, risulta del tutto evidente che maggiori sono le informazioni che ci bersagliano, più le nostre scelte sono indirizzate dai meccanismi automatici e inconsci del Pensiero Veloce, quindi poco ponderate. Detto in altri termini, l’iperinformazione conduce endemicamente a una più elevata probabilità di incorrere in inconsapevoli inganni.

Nelle strategie pubblicitarie le capacità di cogliere vantaggio dalle increspature del processo cognitivo umano sono molto evolute e, al tempo stesso, apertamente utilizzate. Il marketing emozionale è divenuto parte integrante delle scienze cognitive, materia di formazione universitaria e di tesi accademiche, nonché tematica ampiamente divulgata e oggetto di convegni. A livello professionale è una vera e propria attività codificata.

Non è, invece, affatto trasparente l’utilizzo di strategie di marketing emozionale da parte di svariati altri soggetti: uomini politici, mezzi di informazione, personaggi vari che popolano i media e, soprattutto, il web.

Con l’avvento del consumismo, gli individui sono diventati “consumatori”, quota parte di un bacino di utenza, di un mercato animato da venditori di prodotti o servizi.

Nell’era dell’iperinformazione e del marketing emozionale, ciascun individuo è divenuto il bacino d’utenza di un mercato parallelo, ambiguo e deregolamentato: il mercato delle opinioni.

Sia chiaro, incidere sui convincimenti delle persone è un’attività antica quanto l’uomo. Le scoperte scientifiche sui processi cognitivi umani, le tecniche di marketing che si sono sviluppate di conseguenza e i nuovi strumenti di comunicazione hanno, però, reso possibile industrializzarla e camuffarla, massimizzandone i risultati.

Oggi è divenuto più facile cadere nella rete di informazioni distorte. A dimostrarlo è la quantità di fake news che circolano e anche, lo vedremo più avanti, l’aumento a dismisura della propensione umana a credere in teorie del complotto.

Il paradosso che ne deriva è che, nell’era dell’iperinformazione, è moltiplicato il convincimento popolare in teorie irrazionali, tesi antiscientifiche, argomentazioni insensate e credenze basate sul nulla.

 

4.1. LA PROPAGANDA POLITICA

Un posto di rilievo tra gli utilizzatori delle strategie di marketing emozionale va senz’altro ai leader politici o, sicuramente, a una parte di essi.

Lo psicologo statunitense Howard Gardner[4] è tra gli scienziati più insigniti di premi a livello mondiale. Tra i tanti riconoscimenti, 31 lauree honoris causa. È noto per aver elaborato la teoria delle Intelligenze Multiple[5]. Già nel 1995, in una più ampia disamina che ha abbracciato personalità di successo di vari settori, nel saggio Leading minds-An anatomy of leadership (edizione italiana: Personalità egemoni) Gardner si era soffermato sulle caratteristiche dei leader vincenti in campo politico, intuendo che la capacità di stimolare le emozioni delle persone era (segue…)

4.2. I MEDIA TRADIZIONALI
4.3. INTERNET E I SOCIAL NETWORK
4.3.1. “SE IL SERVIZIO E’ GRATIS, IL PRODOTTO SEI TU” 
4.3.2. L’ILLUSIONE DI SCEGLIERE 
4.3.3. L’ALGORITMO CHE INGANNA 
4.3.4. PERSONAGGI IN CERCA DI CLIC 
4.3.5. PAGINE SOCIAL E ACCOUNT ANONIMI 

5. L’INFLUENZA DELLE RELAZIONI 

 

6. FALLACIE LOGICHE, DISSONANZA COGNITIVA E BIAS DI CONFERMA

L’iperinformazione, le nuove strategie di marketing e il web hanno accresciuto in modo esponenziale la probabilità di essere indotti a convincimenti errati.

La mole di informazioni che ci raggiunge lascia inevitabilmente meno tempo per soffermarci e approfondire una notizia o un dato. Le tecniche utilizzate da chi ci vuole sedurre sono divenute altamente raffinate e ingannevoli. Gli algoritmi di internet sono conformati in modo di farci recapitare solo contenuti allineati alle opinioni che già abbiamo, impedendo ciò che costituisce il basamento fondamentale di un percorso cognitivo: il confronto paritario con chi non la pensa come noi.

Il complesso di questi fattori ci conduce a involontari errori di ragionamento, che le neuroscienze definiscono fallacie logiche. La pubblicità, la retorica politica e i vari personaggi che, ognuno per il proprio tornaconto, propagandano la loro visione, sono intrise di fallacie e di conseguenti tranelli, architettati per indurci a trarre “una serie di conclusioni apparentemente inevitabili, ma che in realtà risultano essere completamente arbitrarie e che portano a una conclusione scorretta”[6].

Ne siamo inevitabilmente vittime, giacché non è quasi mai la ragione, bensì l’impatto emotivo, a determinare le nostre scelte e i nostri convincimenti.

Non deve pertanto meravigliare la crescente credenza in tesi irragionevoli e in teorie del complotto sconclusionate. E non deve meravigliare che tesi irragionevoli e teorie del complotto sconclusionate siano sostenute a dispetto di ogni più solida evidenza.

Le moderne scienze cognitive hanno difatti individuato che la mente umana accetta malvolentieri di modificare i convincimenti che ha maturato. Avvertire il dubbio che il proprio punto di vista possa essere sbagliato, quindi il pericolo di doverlo riconsiderare, provoca alla nostra mente uno stress molto disturbante, noto come dissonanza cognitiva. Per contrastarlo, essa attiva uno schema difensivo, che le neuroscienze definiscono bias di conferma. “Un meccanismo con cui noi mentiamo a noi stessi per preservare la nostra convinzione”, spiega Carol Anne Tavris, una delle più autorevoli voci della psicologia sociale[7] “La nostra mente tende ad accettare e ricordare le prove che confermano quello che già crediamo, e a ignorare, minimizzare o banalizzare ogni informazione che è in contrasto con le nostre credenze. Cercare prove che confermano le nostre credenze e rifiutare le prove che le confutano è il modo principale con cui riduciamo la dissonanza. Questo è uno dei motivi per cui la scienza risulta essere fastidiosa per molte persone, perché mette sotto esame le nostre credenze. Ci pone di fronte alla possibilità che le nostre credenze potrebbero essere sbagliate”.

“La dissonanza cognitiva è un meccanismo prevalentemente inconscio quindi riconoscerla non è molto facile”, osserva Carol Anne Tavris.

E per questa ragione nessuno deve sentirsi esente da involontari autoinganni.

 

7. ESSERE UN GIOCATORE E NON UN GIOCATO

Innumerevoli inganni, quindi, insidiano il nostro processo cognitivo e si frappongono a un approccio razionale verso scelte, decisioni, opinioni e convincimenti.

“Io non mi faccio manipolare” è un’affermazione nella quale ci si imbatte di frequente, soprattutto nei commenti sui social media. Senza voler deludere alcuno, si tratta di un auto-attestato non spendibile. È opportuno ribadirlo: essere indotti a compiere scelte irrazionali non è la regola, al tempo stesso la scienza ha dimostrato che nella stragrande maggioranza dei casi le nostre decisioni sono determinate dall’istinto e non dal raziocinio. Siamo pertanto tutti manipolabili; se preferite, vulnerabili. Prenderne atto e diventarne consapevoli è il modo migliore per esserlo di meno, soprattutto al cospetto di chi padroneggia le tecniche e dispone degli strumenti per condizionarci.

Pubblicità, propaganda politica, mezzi di informazione di ogni genere e finanche la nostra cerchia di relazioni: tutta la realtà che ci circonda, tutte le persone con le quali ci imbattiamo fisicamente nella quotidianità e nel mondo virtuale influenzano le nostre decisioni. Che si tratti di acquistare un pacchetto di biscotti o di maturare un punto di vista.

Averne consapevolezza, conoscere come si sviluppano i nostri processi cognitivi e decisionali, è la strada maestra nella direzione di essere protagonisti delle nostre scelte, dei nostri convincimenti: la strada maestra per essere un giocatore e non un giocato.

 

                   PARTE SECONDA
                       Teorie del complotto:
                               come nascono, come si propagano,
p
erché seducono

                                                Nessuno è esente da pregiudizi o timori
che potrebbero portare a credere
in una teoria del complotto

(European Commission) 
                                          

Esiste un collegamento tra la sempre più imponente mole di informazioni che invade il nostro quotidiano e il crescente guazzabuglio di complottismi, negazionismi e false credenze?

E c’è una proprietà transitiva tra i meccanismi che rendono vulnerabile il processo cognitivo umano e l’infatuazione per le teorie complottiste?

Quale ruolo giocano le strategie di marketing emozionale nella diffusione di teorie cospirative?

Il complottismo esiste perché esistono i complotti. Quelli veri, accertati, sentenziati.

Perché teorie cospirative intorno a dati di fatto incontrovertibili o accadimenti comprovati in modo ineccepibile sopravvivono nel tempo?

Perché al crescente acculturamento della collettività non ha fatto riscontro un calo di interesse verso affabulazioni prive di sostegno scientifico o di fondamento logico?

Come nasce una teoria del complotto?
Come si propaga fino a coinvolgere un numero imprecisato di persone?

 

1. ALLA RADICE DELLE COSPIRAZIONI

2. I FURBETTI DEL COMPLOTTO

3. QUESTIONE DI FIDUCIA

Si è accennato che il meccanismo che governa l’apprendimento culturale e professionale degli individui si fonda su elementi fiduciari.

Quando non eravamo ancora in grado di leggere, scrivere o far di conto, ci siamo affidati ciecamente alla maestra. Nel percorso degli studi abbiamo acquisito nozioni fidandoci dei libri di testo e dell’erudizione degli insegnanti. Nella vita professionale abbiamo appreso nozioni e metodologie di lavoro sperimentate dai nostri capi, fidandoci della loro competenza. Nel tempo libero abbiamo ampliato il nostro bagaglio culturale attraverso le letture o grazie alle persone più adulte o più colte con le quali ci siamo interfacciati. Nel percorso di vita siamo diventati a nostra volta capi in un’azienda, insegnanti o persone prese a riferimento da altri che si sono fidati delle nostre conoscenze e delle nostre competenze e le hanno fatte proprie.

L’interruzione della catena della fiducia mette a repentaglio il naturale e armonico processo della conoscenza che si sviluppa nei vasi comunicanti delle relazioni umane. Diffidare, sia chiaro, è una sana pratica di relazionarsi. Mettere in dubbio le certezze è un comportamento proprio della scienza e costituisce un corretto approccio evolutivo. L’esasperazione della diffidenza e del sospetto possono però sfociare in vere e proprie patologie a livello cognitivo e comportamentale.

Nella catena della fiducia, se ho un problema di salute consulto un medico, se l’automobile mi lascia in panne mi affido a un’autofficina, per risolvere la perdita di acqua in bagno che rischia di penetrare nelle intercapedini e allagare il vicino, chiamo l’idraulico. Se sono un idraulico, il medico, a sua volta, si avvarrà della mia competenza per risolvere il suo fastidioso problema della perdita di acqua da un tubo del bagno di casa. E così via.

Quando si interrompe la catena della fiducia e prevale la psicosi del sospetto, c’è il concreto rischio che si ingeneri un processo di autosufficienza in base al quale un individuo, diffidando delle conoscenze altrui, delle informazioni che gli pervengono o che sono di dominio pubblico e, persino, delle evidenze scientifiche comprovate, trovi giustificato occuparsi personalmente di argomenti dei quali non ha alcuna competenza. In genere il primo passo è quello di sconfessare le fonti ufficiali, ritenute colpevoli di nascondere in tutto o in parte la verità e confutare le conoscenze assodate, sovente anche quelle basilari. Il secondo passo è andare alla ricerca di contenuti alternativi a quelli avvalorati dai fatti e dalla scienza.

L’infinita gamma di informazioni oggi reperibili sul web, molte di esse approssimative, quando non addirittura ingannevoli o false, consente di costruire illimitate narrazioni fantasiose. È divenuto normale imbattersi in teorie inverosimili, arricchite da immagini che fanno leva sulle emozioni, da contenuti che demonizzano istituzioni o personaggi autorevoli, oppure offrono soluzioni semplicistiche di fenomeni complessi. Sono i principali fattori che le rendono affascinanti e, pertanto, possono indurre a far propria una rappresentazione alternativa della realtà.

Poco importa se si tratta di tesi divulgate da falsi esperti. Nell’autoconvincimento del complottista, medici radiati, pseudoscienziati e giornalisti sconfessati dai fatti sono elevati a veri e propri profeti della libera informazione che combattono stoicamente il “pensiero unico”. La circostanza che, molto spesso, si tratti di personaggi che divulgano le proprie teorie strampalate su siti, blog e canali tramite i quali monetizzano i clic di visualizzazione in raccolta pubblicitaria non costituisce fonte di dubbio (di sospetto) per chi ha maturato il convincimento che la verità e la realtà non corrispondono a quanto storicamente avvenuto, oppure scientificamente dimostrato. Realtà e verità sono quelle (segue…)

 

4. COME SI DVENTA COMPLOTTISTI

Occorre cautela nell’appiccicare l’etichetta di complottista. Anche perché, se sappiamo che la crisi di fiducia è una condizione basilare, malgrado la crescente consistenza del fenomeno la letteratura scientifica è ancora povera di studi riguardo alle cause che conducono una persona ad accostarsi a teorie cospirative.

Il filosofo Karl Raimund Popper è considerato il precursore nello studio del complottismo. Nel suo saggio The open society and its enemies, pubblicato nel 1945, Popper osservava che l’ossessione per il complotto è insita nell’indole umana.

Bob Brotherton, psicologo e accademico della Columbia University, nel 2016 ha riassunto le sue ricerche nel libro Suspicious Minds: Why We Believe Conspiracy Theories. “Le teorie del complotto spesso sono avvincenti costruite in maniera ingegnosa, e soddisfano in modo egregio certi bisogni che in alcuni sono più pressanti che in altri, per esempio la necessità di dare un senso a ciò che accade, di ridurre la complessità del mondo”.

“La psicologia del complotto nasce dal fatto che le spiegazioni più evidenti di molti fatti preoccupanti non ci soddisfano, e spesso non ci soddisfano perché ci fa male accettarle” era il pensiero di Umberto Eco, professore, scrittore e semiologo, ritenuto uno dei più accreditati studiosi delle cospirazioni. “Già prima dell’avvento dei social media, era sufficiente tessere un paio di analogie tra eventi storici, fatti realmente accaduti o presunti e condirli con una manciata di leggende antiche, di riti e di espedienti narrativi per dare vita a una vera e propria realtà parallela”. Secondo Eco, il web ha però amplificato il fenomeno. “Leggo su internet che Lincoln è stato eletto al Congresso nel 1846, Kennedy nel 1946, Lincoln Presidente nel 1860, Kennedy nel 1960; entrambe le loro mogli hanno perduto un bambino mentre risiedevano alla Casa Bianca, entrambi sono stati colpiti alla testa da un sudista, di venerdì; il segretario di Lincoln si chiamava Kennedy, il successore di Lincoln fu Johnson nato nel 1808, eccetera eccetera.

Le coincidenze sono il propellente delle cospirazioni. Che confeziona teorie del complotto fa leva sulle strane concomitanze per (segue…)

 

5. QUANTI SONO I COMPLOTTISTI? 

6. SE LA VERITÀ NON VIENE A GALLA

 7. LE TEORIE DEL COMPLOTTO SONO PERICOLOSE? 

 

      PARTE TERZA
Terre piatte, Lune inesplorate
e altre improbabili cospirazioni

 

Tre cose non possono essere nascoste a lungo:
la Luna, il Sole e la verità.

(Siddartha Gautama) 
                                                              

Nell’appendice di questo testo Manuela Pavon, ricercatrice e psicologa, proseguirà nell’approfondimento delle deviazioni del processo cognitivo umano che conducono a false credenze. Descriverà, con riferimenti psicoanalitici e neuroscientifici, i processi difensivi ed emotivi utilizzati per fronteggiare la realtà. E illustrerà le ricadute che a lungo andare si possono ingenerare nei nostri comportamenti quotidiani e sulla nostra stabilità psicologica. Dario Corradino, raffinato giornalista di lungo corso e luminosa carriera, con tratto elegante e proverbiale acume ripercorrerà i temi trattati, stimolando illuminanti riflessioni.

Le prossime pagine sono dedicate a rappresentare – con approccio cartesiano e necessaria sintesi – come sono nate e perché si sono propagate alcune tra le teorie del complotto che trovano più largo credito nella collettività.

 

1.UFO, ALIENI E RETTILIANI

“Gli alieni esistono e sono in contatto da anni con Israele e gli Stati Uniti. Hanno chiesto di non rendere pubblico che sono qui, l’umanità non è ancora pronta”. A sostenerlo, l’ex capo della Divisione Spaziale del Ministero della Difesa israeliano, Haim Eshed, in un’intervista rilasciata l’8 dicembre 2020 al quotidiano Yediot Aharonot[8] [9].

Il generale Eshed, che ha ricoperto il delicato incarico tra il 1981 e il 2010, non ha mancato di accompagnare la rivelazione con qualche dettaglio. La “Federazione galattica” sarebbe interessata a comprendere il “tessuto dell’Universo” e perciò avrebbe stretto accordi con gli Stati Uniti per una cooperazione che include una base sotterranea su Marte, dove sarebbero di stanza astronauti americani e rappresentanti degli extraterrestri. “Se lo avessi detto cinque anni fa sarei stato ricoverato in ospedale” ha aggiunto Eshed. “Oggi non ho niente da perdere, ho ricevuto lauree e riconoscimenti, sono rispettato nelle università all’estero, dove gli atteggiamenti sono cambiati e le persone sembrano più ricettive”.

Il possibile approdo di creature extraterrestri sulla Terra ha affascinato molte generazioni e alimentato congetture di vario genere. La teoria cospirativa più recente, che si incrocia strettamente con il mondo degli alieni, sostiene che il pianeta sia controllato da “rettiliani”.

In Russia, la ricerca è del 2020, ben il 36% delle persone reputa che gli alieni visitino la Terra[10].

Negli Stati Uniti, un sondaggio condotto da Gallup nel 2019 ha rilevato che il 33% della popolazione crede che gli UFO siano veicoli spaziali di extraterrestri che visitano il nostro pianeta[11] e il 68% reputa che il Governo “sa degli UFO più di quanto non ci dica”.

Il primo ad argomentare tesi su forme di vita extraterrestri fu lo scrittore statunitense Charles Fort. Appassionato di fenomeni paranormali, Fort cercò di divulgare le sue supposizioni attraverso due saggi scritti intorno al 1915, intitolati semplicemente X e Y, che distrusse dopo aver tentato invano di pubblicare. Nel 1919 Fort ebbe invece miglior fortuna con The Book of the Damned, che avrebbe dato il via a un filone letterario dedicato all’occultismo. In quel testo Charles Fort affrontava vari temi, tra i quali la presenza nei cieli di oggetti non identificati[12]. Un gruppo di suoi adepti fondò la Fortean Society, che divenne il punto di riferimento degli appassionati di fenomeni ignorati dalla scienza. L’esistenza di vita al di fuori della Terra e gli avvistamenti di oggetti sconosciuti nei cieli, uno dei cardini delle congetture di Fort, erano i temi centrali nella filosofia dei seguaci della Fortean Society.

Le supposizioni di Fort e dei suoi proseliti presero corpo il 24 giugno 1947, quando l’aviatore statunitense Kenneth Arnold sostenne di aver avvistato nove oggetti insoliti in volo in una zona vulcanica nello Stato di Washington[13]. Nella descrizione di Arnold gli oggetti volanti erano sottili e piani e ciò determinò la definizione flying sources, italianizzato in “dischi volanti”. Qualche anno più tardi l’Aeronautica Militare degli Stati Uniti avrebbe coniato il termine UFO, acronimo di Unidentified Flying Object.  

Il racconto di Arnold stimolò la fantasia degli americani e spuntarono segnalazioni di analoghi oggetti avvistati nel passato. L’episodio chiave, che accese definitivamente i riflettori sul fenomeno e aprì il varco alle teorie pseudoscientifiche più suggestive del secolo scorso, fu raccontato appena due settimane dopo. L’8 luglio 1947, l’edizione pomeridiana del Roswell Daily Record, giornale locale dell’omonima cittadina del New Mexico, titolò in prima pagina a caratteri cubitali: “La RAAF cattura un disco volante in un ranch nella regione di Roswell”. RAAF è l’acronimo di Roswell Army Air Field, il campo di volo militare di Roswell.

Non è mai emerso quale fosse la fonte del Roswell Daily Record. Qualcuno ipotizza (segue…)

 

2. LA TERRA PIATTA

Le teorie che mettono in dubbio che la Terra sia sferica sono più articolate e complesse di quanto si possa immaginare.

A una prima analisi, il terrapiattismo potrebbe essere archiviato come una corrente di pensiero trascurabile, una nota meramente folcloristica non meritevole di attenzione. Invece no. Perché, dal punto di vista sociale, la negazione della sfericità della Terra rappresenta la manifestazione più eccentrica del disprezzo e della sfiducia sempre più diffusa nei confronti della scienza e delle istituzioni, fattore che costituisce la ragione fondante di quasi tutte teorie del complotto. Dal punto di vista antropologico, poi, il terrapiattismo rappresenta la dimostrazione lampante ed esplicativa di quanto il nostro processo cognitivo possa essere vulnerabile e, soprattutto, documenta i percorsi mentali, gli strumenti e i mezzi di comunicazione che amplificano la fragilità emotiva della mente umana, fino a essere indotta a convincimenti errati a dispetto di ogni più solida evidenza.

Quanti sono i terrapiattisti?

Non esiste una ricerca indipendente che possa consentire di stimarne il numero a livello planetario. In Italia sarebbero circa 30 mila, indicazione fornita da Agostino Favari, ingegnere elettronico di Palermo, che il 12 maggio 2019 nella sua città ha organizzato il primo convegno nazionale sul tema. La sala congressi dell’Hotel Garibaldi non era al limite della capienza, ma va considerato che per tener lontani i curiosi era previsto un biglietto di ingresso di 20 euro. “E molta gente ha paura di esporsi” sostiene Favari. Tra i relatori del convegno, uno dei guru italiani del terrapiattismo: Albino Galoppini, bresciano, laureato in Scienze Naturali, indirizzo paleobiologico. Insomma, non si può affermare che tra i teorici della Terra piatta in Italia vi siano persone che difettano di istruzione.

Gli Stati Uniti sono tra i Paesi dove il terrapiattismo trova maggiori adepti. Secondo un’indagine condotta nel 2018 dal sito di sondaggi YouGov[14] almeno il 5% degli americani ha qualche dubbio circa la sfericità della Terra e il 2% è convinto che sia piatta, dato che sale al 4% nella fascia di età 18-24 anni.

Sempre negli Stati Uniti non è mancato il clamore intorno a personaggi pubblici che hanno manifestato scetticismo nei confronti della sfericità della Terra. Uno dei più grandi campioni del basket NBA di questo secolo, il playmaker dei Boston Celtics Kyrie Irving, nel 2017 ha pubblicamente affermato di essere convinto che la Terra sia piatta[15]. Successivamente Irving si è scusato per l’effetto che sue affermazioni hanno avuto sull’opinione pubblica e soprattutto sui giovani. Ma, a ruota, altri giocatori di spicco del basket statunitense, Draymond Green, Wilson Jamall Chandler e Shaquille O’Neal, hanno manifestato il medesimo convincimento[16].

Sempre negli USA ha prodotto grande eco il sostegno alle convinzioni terrapiattiste del famoso rapper Bobby Ray Simmons, meglio conosciuto come B.o.B.; un personaggio da 2,3 milioni di follower che, in più occasioni, ha pubblicato contenuti volti a sostenere che la Terra sia piatta e, nel 2017, ha creato un crowdfunding per finanziare il lancio di satelliti al fine di poterlo dimostrare[17] [18].

Nell’era dei GPS che indicano il percorso che abbiamo impostato verso una meta, che misurano con precisione la distanza delle nostre attività motorie, mostrandoci su un’applicazione il resoconto di tappe, altitudine e altri dettagli, com’è possibile che qualcuno pensi davvero che la Terra sia piatta?

La sfericità della Terra fu intuita circa 25 secoli fa. Pitagora fu tra i primi a dar corpo a tale ipotesi, un paio di secoli dopo Eratostene di Cirene arrivò a stabilirne la circonferenza con un errore di approssimazione risibile rispetto a quanto sarebbe poi stato misurato con precisione in epoche recenti. Per oltre 2 millenni l’uomo non si è mai posto il dubbio che ciò potesse essere frutto di un’errata cognizione o di un complotto.

Il terrapiattismo fa capolino nella Storia solamente nell’Inghilterra del XIX secolo. Samuel Birley Rowbotham, giovane segretario (segue…)

 

3. GLI ATTENTATI DELL’11 SETTEMBRE 2001 

4. LE SCIE CHIMICHE

 

5. CASE FARMACEUTICHE: VERITÀ E PRECONCETTI

Nella vasta gamma di teorie del complotto, quelle che riguardano la scienza medica sono tra le più diffuse e le più articolate. Le supposizioni si sprecano e spaziano da teorie specifiche a congetture generalizzate che evocano complotti indefiniti e confluiscono in una sorta di calderone nel quale si mescolano l’ostracismo verso i vaccini e le congiure sull’HIV, il sostegno a terapie mai scientificamente comprovate e la convinzione di ipotetiche cure esistenti che sarebbero tenute nascoste per favorire l’industria farmaceutica, definita in termini spregiativi Big Pharma.

L’industria farmaceutica è il nemico che accomuna e fraternizza i sostenitori del coacervo di tesi controcorrente di natura medico scientifica. Nelle varie diramazioni, sono evocati però di volta in volta categorie generiche (politici, governanti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, istituzioni nazionali, organizzazioni non governative) e personaggi ben identificati, ultimo in ordine di entrata Bill Gates.

Alle case farmaceutiche viene genericamente rimproverato di rappresentare una fucina di guadagni, oltretutto prodotti sulla pelle della popolazione del pianeta. Oggi pressoché tutte le aziende farmaceutiche del mondo sono private, le maggiori sono società quotate in Borsa e chi le amministra opera, ovviamente, nell’interesse degli azionisti. Il solo modo per togliere a Big Pharma l’obiettivo di realizzare profitti è la statalizzazione dell’intera industria farmaceutica mondiale. Posto che sia un’ipotesi realizzabile, e non lo è, ne andrebbe poi valutata l’opportunità in termini di efficienza. La Storia insegna che l’industria pubblica sviluppa livelli di produttività e di innovazione inferiori a quella privata ed è, pertanto, da dimostrare che le attività che hanno consentito di far progredire le cure per quasi tutte le malattie esistenti sarebbero state altrettanto efficienti se fossero state condotte da mani pubbliche.

A beneficio di chi non ha familiarità con il mondo della finanza, è forse opportuno precisare che (segue…)

5.1. LA DISPUTA DEI VACCINI
5.2. HIV, UN’INVENZIONE?
5.3. LE CURE CONTRO IL CANCRO

6. QANON, IL PARIOTA Q

7. LO SBARCO SULLA LUNA

8. COVID-19: COMPLOTTI E NEGAZIONI 

 

                                      APPENDICE

 PSICOGENESI DEL CONFLITTO
di Manuela Pavon

  1. COMPLESSITÀ E BISOGNO DI SENSO

Credere ai complotti è un modo per negare la realtà? O per renderla più accettabile e meno angosciosa? Cosa porta alla credulità? Al negazionismo?

Può sembrare paradossale come nell’era dell’iperinformazione siano effettivamente moltiplicate le convinzioni più strambe in teorie irrazionali, tesi senza alcun fondamento scientifico e credenze cospirazioniste.

Di fronte al proliferare di fake news e negazionismi vari, viene da chiedersi come mai le persone non attivino risorse e competenze per approfondire le notizie e per accertarsi che quello che stanno leggendo e veicolando corrisponda alla verità dei fatti.

Di più: davanti alla negazione spudorata di cose anche tragicamente accadute, ci si domanda se ci siano delle tendenze caratteriologiche che predispongano maggiormente a questo modo di significare gli eventi e di affacciarsi alla realtà. O se ciò sia legato a forme di regolazione o disregolazione emotiva: la storia relazionale di ognuno di noi allestisce lo scenario su cui organizziamo il nostro stile emotivo.

Tuttavia, cercare di dare un senso, da un punto di vista clinico, alla tendenza a sguazzare nelle idee complottiste, alla credulità, al negare dati di fatto o teorie ormai appurate o evidenti può essere un compito insidioso.

L’obiettivo non è proporre sterili etichette diagnostiche, ma cercare di capire come le dinamiche evolutive possano influenzare gli stili di pensiero e i modi di reagire agli eventi.

 

  1. LO SVILUPPO DELLA MENTE: ADATTARSI ALL’AMBIENTE PER “SOPRAVVIVERE”

L’essere umano tende, per natura, ad adattarsi all’ambiente trovando il proprio equilibrio, e a cercare di spiegare e dare un senso (almeno illusoriamente coerente) a ciò che accade: molteplici combinazioni di elementi psichici, relazionali, biologici e sociali delineano specifici stili di personalità, che vanno via via caratterizzando ciascuno di noi.

Spesso si sottovaluta che, pur essendo l’evento più naturale della vita, la nascita è un’impresa tutt’altro che facile. Immaginiamo di essere nel bel mezzo di un volo aereo intercontinentale, in first class, placidamente sprofondati in una sontuosa poltrona in pelle, assopiti e fluttuanti nelle soavi immagini di un sogno appagante ed estasiato; quando, all’improvviso, uno scossone ci catapulta in una realtà indecifrabile e terrificante: l’aereo in avaria. In preda all’angoscia, data l’impossibilità di attuare la prima e istintiva reazione di fuga, potremmo rimanere paralizzati dalla paura, urlare in preda al panico e aggrapparci al sedile, oppure fare la cosa più disperatamente razionale: indossare il giubbotto di salvataggio e attivare il sistema di fornitura di ossigeno d’emergenza. Saremmo certi di stare per morire e probabilmente saremmo disposti a qualunque strategia pur di salvarci la vita.

Questa descrizione potrebbe essere, grosso modo, una rappresentazione simbolica di come potrebbe apparire, al neonato, l’improvviso passaggio dall’ambiente intrauterino a quello extrauterino, che ha a che fare con uno scenario, ai suoi occhi, verosimilmente spaventoso: un mondo tutto da scoprire e da imparare a gestire, nuovi compiti e azioni da mettere in atto per potersi garantire la sopravvivenza (l’atto stesso di respirare ossigeno attraverso i polmoni piuttosto che attraverso il cordone ombelicale, per esempio; oppure termoregolarsi in un ambiente che non ha più temperatura costante), senza farsi travolgere dall’angoscia e da emozioni soverchianti.

Il modo in cui impariamo a gestire le relazioni affettive e sociali è in stretta correlazione con la possibilità di essere inseriti, fin dalle prime fasi di vita, in relazioni di accudimento soddisfacenti. Gravi carenze nelle cure o l’assenza di una figura sufficientemente buona, per citare Winnicott[19], possono compromettere il raggiungimento di un’integrazione delle funzioni mentali e del proprio Sé, precludendo la possibilità di acquisire, gradualmente, modi sempre più  (segue…)

 

CONSPIRACY
di Dario Corradino

Il 9 giugno dell’anno 68 Nerone si suicidò pugnalandosi al collo. Ma in molte comunità cristiane, a lungo perseguitate dal crudele imperatore, si diffuse la notizia che in realtà il despota, con un gruppo di fedelissimi, aveva solo inscenato la sua morte e si preparava a tornare. Una teoria della cospirazione che per molti, in quel tempo, trovava conferma negli scritti dell’Apostolo Giovanni, identificando Nerone nella Bestia del capitolo 18 dell’Apocalisse.

Molti secoli dopo, Samuel Morse, l’inventore del telegrafo, incontrò il Papa. Ma al cospetto del Pontefice rifiutò di togliersi il cappello. Morse era convinto di trovarsi di fronte al massimo esponente di una cospirazione che mirava a dominare gli Stati Uniti attraverso un massiccio afflusso di immigranti cattolici. Tornato in patria, Morse scrisse articoli e saggi su questo tema. Nel 1836 si candidò come sindaco di New York incentrando la sua campagna elettorale proprio sulla necessità di contrastare l’immigrazione, specialmente quella cattolica. Non venne eletto, ma aveva i suoi seguaci, e continuò a lungo a sostenere le sue teorie.

Nulla di nuovo, dunque. La Storia è costellata di episodi di questo genere, di teorie più o meno bislacche volte a dare un’interpretazione oscura e sorprendente a ogni genere di eventi. Soprattutto negli ultimi anni, le teorie della cospirazione hanno pervaso il web e i social media. Le moderne forme di comunicazione digitale consentono alle teorie del complotto di diffondersi più velocemente che mai e facilitano i contatti tra le persone che la pensano allo stesso modo, che trovano infiniti luoghi virtuali nei quali scambiarsi opinioni e rafforzare le proprie convinzioni.

Nascono così movimenti come quello dei Terrapiattisti, che sostengono che la Terra è in realtà piatta (e che gli scienziati mentono al pubblico da oltre 500 anni), e organizzano convegni e conferenze e addirittura crociere per i loro accoliti. Le teorie del complotto si sprecano in tema di Covid-19, di reti 5G, di vaccini e medicine. Si basano su notizie in parte vere, controverse o quanto meno verosimili, e le elaborano a piacere, talvolta in modo paradossale. E così ecco decine di migliaia di “esperti” che ci spiegano, prove alla mano, che l’uomo non è mai sbarcato sulla Luna, che l’11 settembre se lo sono organizzato gli americani, che le case farmaceutiche ci stanno tenendo nascosta la cura per il cancro, che il riscaldamento globale è una montatura, che gli alieni rettiliani governano il mondo e così via.

Con l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti e il voto sulla Brexit nel Regno Unito, le teorie della cospirazione sono anche diventate un “normale” ingrediente del dibattito politico, in particolare tra i sostenitori dei movimenti populisti. Questi movimenti infatti hanno in genere come narrazione dominante la lotta tra “élite corrotte” e “il popolo”. La mentalità populista alimenta le teorie della cospirazione, attribuendo alle élite di volta in volta l’occulta regìa di attacchi terroristici, le crisi economiche, le epidemie, la diffusione di tecnologie e farmaci dannosi, e subdoli tentativi di controllare menti e corpi dei cittadini.

Sembra di vivere nell’era d’oro dei complotti, con un numero crescente di persone che credono alle teorie della cospirazione e una società che pare strutturata appositamente per fornire a questo fenomeno un terreno eccezionalmente fertile per prosperare.

Ma è davvero così? Certo, oggi le teorie della cospirazione si diffondono rapidamente e trovano facilmente online un vasto pubblico pronto a condividerle e diffonderle. Le moderne tecnologie agevolano il processo, ma forse hanno semplicemente il merito di evidenziarlo, perché in realtà l’Homo sapiens ha da sempre un debole per le teorie complottistiche.

Una teoria della cospirazione è il sospetto che un gruppo di persone si accordi in segreto per pianificare atti malvagi. Questa definizione implica che una cospirazione sia sempre un prodotto di gruppo. Un singolo, per quanto diabolicamente abile, può anche progettare azioni e piani malvagi, ma un cattivo solitario non è un cospiratore fino a quando non si coalizza con altri. È sempre un gruppo di nemici a pianificare una cospirazione. Sono “loro”, i cattivi, che stanno cercando di danneggiare “noi”.

La radice del pensiero cospiratorio risiederebbe dunque nel nostro atavico istinto di dividere il mondo sociale in due categorie: “Noi” e “Loro”. Ma se fosse davvero un prodotto del nostro istinto, ci si dovrebbe aspettare che le teorie della cospirazione fossero già comuni decine di millenni fa, anche nel Paleolitico, quando gli esseri umani vivevano come cacciatori-raccoglitori.

A questo proposito sono interessanti i risultati di una ricerca degli psicologi evoluzionisti olandesi Jan-Willem van Prooijen e Mark van Vugt, pubblicata su Perspectives on Psychological Science nel 2018. Gli studiosi partono, appunto, da lontano. Prima della rivoluzione agricola di circa dodicimila anni fa tutti gli esseri umani vivevano in piccole tribù di cacciatori-raccoglitori. Queste piccole comunità non avevano ovviamente social media, né movimenti populisti, divisioni politiche o differenze etniche e religiose. Avevano, tuttavia, una situazione di conflitto permanente e letale con altri gruppi.

Normalmente infatti i nostri antichi progenitori dovevano stare in guardia dai gruppi nemici molto più di quanto sia necessario ora. I ritrovamenti archeologici suggeriscono che era relativamente comune nel Paleolitico morire in violenti conflitti con tribù ostili. Resti fossili trovati in varie località del mondo mostrano prove di morti violente, molto probabilmente dovute ad aggressioni letali.

Il pericolo rappresentato dai gruppi ostili costituiva dunque un problema adattivo per gli antichi esseri umani. E se ne ha conferma evidente nelle rare tribù di cacciatori-raccoglitori che sopravvivono ancora oggi. Succede, ad esempio, nel popolo degli Yanomami, che (segue…)

*

Contributo scientifico: Manuela Pavon psicologa clinica e di comunità, laureata presso l’Università degli Studi di Torino, si è formata presso la scuola di specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica ARPAd Minotauro. Dopo aver affiancato l’insegnamento all’attività clinica, oggi si dedica alla libera professione a Novara e alla attività di ricerca. Ha ideato e attivato il progetto di crescita personale e professionale “Percorso verso il benessere. Il benessere attraverso la comunicazione” inserito anche come corso di formazione per docenti.

Contributo storico: Dario Corradino studi giuridici, dopo aver collaborato ad altri quotidiani e giornali locali è approdato nel 1978 a La Stampa, dove ha lavorato in numerosi settori: dalla cronaca locale allo sport a Internet. Del quotidiano torinese è stato caporedattore centrale. Attualmente è consulente editoriale, docente a contratto di Etica e Deontologia professionali presso il Master in Giornalismo dell’Università degli Studi di Torino e componente del Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte.

Editing Laura Basili
Fumetto copertina Valeria Girardi

L’autore è grato a Laura Basili, Antonella Ferrara, Rita Guarini, Maria Bordizzo, Lorella Flamini, Emiliano Pedroni, Oscar Luparia, Andrea Ambrosetti e Maurizio Allegranza per il supporto e i suggerimenti

Copyright © 2021 Casa editrice I libri di Emil di Odoya srl
isbn: 978-88-6680-402-4
Via Carlo Marx 21 – 06012 Città di Castello (PG)
Casa Editrice, I Libri di Emil

Danilo Sacco autore | Facebook

facebook.com/danilosaccoautore

 

[1] digitaldictionary.it/blog/report-digital-2020-scenario-digitale-mondo-e-italia

[2] scientificamerican.com/article/kahneman-excerpt-thinking-fast-and-slow/

[3] economiacomportamentale.it/2017/07/27/cosa-sono-i-bias-cognitivi/

[4] gse.harvard.edu/faculty/howard-gardner

[5] La scuola delle Intelligenze Multiple: diversificare per valorizzare (metaintelligenze.it)

[6] Fallacia della brutta china (del piano inclinato): significato, esempi | MEDICINA ONLINE.

[7] Dissonanza cognitiva e pandemia: conversazione con Carol Tavris – Query Online

[8] Former Israeli space security chief says aliens exist, humanity not ready – The Jerusalem Post (jpost.com)

[9] Israele: Gli alieni esistono, in contatto con noi e gli Usa (sky.it)

[10] Metà dei russi non crede allo sbarco degli americani sulla Luna nel 1969 – Rai News

[11] Are Aliens Real? One-Third of Americans Think Alien UFOs Have Visited Earth (newsweek.com)

[12] 100 anni dopo “Il libro dei dannati” – CISU – Centro Italiano Studi Ufologici

[13] Flying Saucers in the Sky: How the UFO Myth Got Its Shape | Time

[14] Most flat earthers consider themselves very religious | YouGov

[15] NBA, Kyrie Irving è convinto: “La Terra è piatta” | Sky Sport

[16] NBA, Shaq come Irving: ‘La Terra è piatta’ | Sky Sport

[17] Rapper B.o.B. raising funds to check if Earth is flat – BBC News     

[18] Il delirio del rapper: ‘Svegliatevi, la Terra è piatta’ (adnkronos.com)

[19] Winnicott, D. W. (1971), Gioco e realtà. Tr. it. Armando, Roma, 1983

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *